I libri dell’anno: il 2014 di Giorgio Di Costanzo

Emilio Villa
L’opera poetica
a cura di Cecilia Bello Minciacchi
Postfazione di Aldo Tagliaferri
L’Orma Editore 2014, pp. 782, euro 45,00

Emilio Villa nasce da una famiglia operaia ad Affori (Milano) il 21 settembre 1914. Coltiva la passione per le lingue delle civiltà defunte: sumero, assiro, sanscrito. Fra i 16 e i 17 anni impara l’aramaico e il fenicio ed è in grado di sostenere conversazioni in greco e in latino. Nel 1934 pubblica la sua prima raccolta di versi: “Adolescenza”, cui segue un’intensa attività pubblicistica. Al ’36-37 risalgono i primi contatti con l’arte militante e d’avanguardia. A Firenze frequenta Aldo Palazzeschi e collabora a “Frontespizio”. Traduce l’Odissea e parte dell’Antico Testamento (studia al Pontificio Istituto Biblico di Roma, dopo aver frequentato il Seminario) ma applica criteri non confessionali, strumenti filologici e non teologici. Gran mangiatore e bevitore, poeta di strada che dorme accartocciato tra i giornali nello studio del pittore Pietro Consagra, nel ’50-51 è in Brasile dove lavora per il Museu de Arte di San Paolo, fonda la rivista “O Nivel” e scopre e pratica la “poesia concreta”. Al rientro in Italia è la volta della creazione delle riviste: “Arti visive”, “Appia”, “Ex”. Indica in anticipo sui tempi il genio di Burri, Capogrossi, Fontana, Colla, Turcato, Rotella, Pollock, Rothko, De Kooning, Twombly e tantissimi altri. Ammira Mario Schifano, Lo Savio, Fabio Mauri. Tra i giovani predilige Piero Manzoni e un giorno di aprile del 1961 Manzoni lo firma come “opera d’arte vivente”. Il suo demiurgo è Marcel Duchamp che lo soprannomina “Villadrome”, Villacorsa, sempre oltre a dove era stato appena lasciato. Nei suoi testi poetici la parola è destituita da ogni vincolo di logica grammaticale, di ogni razionalità che rimandi a significati precostituiti. Preso dallo scatenamento del delirio verbale, abbandona l’italiano e arriva a un francese “personalizzato” e a una lingua iper-ibridata e continuamente reinventata, in cui si trovano tracce di latino arcaico e di greco, italiano e di francese, provenzale, di spagnolo, di portoghese, modificate nell’ortografia e nella fonetica. I versi di Emilio Villa si disseminano in numerose riviste, fogli unici, edizioni preziose e spesso clandestine, presentazioni di artisti e neanche il sostegno e la stima di Bobi Bazlen, negli anni Cinquanta riesce a sfondare il diaframma. Resta un clandestino. Emilio Villa, scrive in un testo di singolare e profetica efficacia: “Poco è rimasto di quella nostra foresta ultra naturam, lacus transiliens, foresta combattente; di quella nostra giovinezza animata poco; poche le conseguenze del nostro patronato assoluto; rare le punte di quelle altre misure; peggio per gli altri; perché questo poco è solo e tutto quel che è accaduto, qui, di vita generosa, di spalancata Alleanza: dove filologia storia critica burocrazia quando vi metteranno le mani, paralitiche, troveranno soltanto il nostro provocatorio, illimite, Niente”. Nel 1986 un ictus lo paralizza, lo ammutolisce. Muore in solitudine, in un ospizio presso Rieti, il 14 gennaio 2003. Rarissime le sue pubblicazioni “ufficiali”, come la versione dell’Odissea (Guanda 1964, riproposta poi da Feltrinelli e DeriveApprodi) e gli scritti “Attributi dell’arte odierna” (dopo il primo volume edito da Feltrinelli nel 1970 non uscì il programmato secondo; l’opera nella sua completezza è stata restaurata da Aldo Tagliaferri e pubblicata da Le Lettere 2008). Anche un secondo volume delle “Opere poetiche” (dopo un primo curato da Aldo Tagliaferri per Coliseum nel 1989)non è mai uscito. Dopo un importante fascicolo dedicatogli dal “Verri” nel 1998, sono usciti a cura di Cecilia Bello Minciacchi le traduzioni di “Proverbi e Cantico” (Bibliopolis 2004), “L’arte dell’uomo primordiale” (Abscondita 2005), “Zodiaco” (Empiria 2000). Da poche settimane abbiamo a disposizione questo prezioso, necessario e indispensabile volume che raccoglie una parte considerevole della sua opera poetica e desideriamo esprimere la nostra ammirazione infinita verso gli eccellenti curatori di quest’opera destinata a durare…

Elizabeth Bishop – Robert Lowell
Scrivere lettere è sempre pericoloso
Corrispondenza 1947 – 1977
A cura di Thomas Travisano e Saskia Hamilton
Edizione italiana a cura di Ottavio Fatica
Adelphi 2014, pp. 445, euro 39,00

“Cara Elizabeth:
non ti scrivo da tanto di quel tempo che non ho più nemmeno più il tuo indirizzo, perciò invierò questa mia alla Houghton e Mifflin, sperando che te la consegnino quando gli darai il manoscritto completo. A questo punto ti starai chiedendo: “Perché l’Olanda?”. Se lo chiedono tutti. Direi perché sono un uomo senz’auto, senza un’automobile, che non ha padronanza delle lingue straniere né la soluzione scoutistica di andarsi a rifugiare a Ischia o in Sardegna…”. (Amsterdam, 6 novembre 1951)

E’ un’antologia del vastissimo epistolario (oltre ottocento pagine) intercorso tra i due poeti americani. L’edizione italiana è priva di cronologia (presente in quella originale) e di conseguenza è arduo inquadrare i punti di riferimento per sapere cosa accade nelle vite dei due amici in quel dato momento. La postfazione del curatore Ottavio Fatica (ben 38 pagine! a pag. 440 ho trovato questa frase enigmatica, riferita alla ritrosia della Bishop: “Per anni riceve e accumula volumi senza mai degnarsi di scrivere una sola recensione – al giornale desistere”) ci viene talvolta in soccorso, per entrare nel mondo dei poeti. Si conobbero nel 1947, a casa di Randal Jarrell. Lei era terrorizzata all’idea d’incontrarlo. Ma tutto si risolse nel migliore dei modi. Secondo Bishop “Lowell è alquanto sudicio, ha un vestito stazzonato, le scarpe scalcagnate, i capelli lunghi, ma è molto attraente”. Fu amore (platonico e per sempre) a prima vista e la timidezza svanì.
Robert Lowell (1917-1977), aristocratico bostoniano, alto, bello, generoso, tre matrimoni e tre figli, cinque mesi di prigione nel 1943 per obiezione di coscienza contro la guerra, ripetuti problemi con la depressione e conseguenti ricoveri in clinica e dipendenza dagli alcolici. Morirà sul taxi, mentre sta tornando dalla seconda moglie a Manhattan dopo un volo dall’Irlanda in cui ha lasciato la terza moglie. Elizabeth Bishop (1911 – 1979), piccola, timida, riluttante, pigra, orfana di padre, da bambina assiste all’internamento della madre in manicomio, dove morirà. Alcolismo, abuso di farmaci, paranoica. Nonostante relazioni e convivenze omosessuali (con Marjorie Stevens, Margaret Miller, Louise Crane, Loren Maciver, Mary Stearns Morse, Pauline Hemingway, Suzanne Bowen, Linda Nemer e infine Alice Methfessel; segnata da due suicidi, quello di un suo fidanzato giovanile nel ’36 respinto, Bob Seaver e quello della sua compagna Lota de Macedo Soares, nel 1966), Elizabeth Bishop è afflitta da malinconia e da solitudine. Scriverà a Lowell: “Quando scriverai il mio epitaffio, devi dire che ero la persona più sola che sia mai esistita”. I due poeti sono uniti da una grande amicizia amorosa (vissuta da lontano e senza pretesa di appagamento, afflitti da un destino impossibile). Scorrono in queste lettere l’ammirazione o l’idiosincrasia per i personaggi del mondo intellettuale: Marianne Moore e W.H. Auden, T. S. Eliot e Allen Ginsberg, Sylvia Plath e Anne Sexton (entrambe allieve di Lowell), Randall Jarrell e Allen Tate, Flannery O’Connor, Mary McCarthy, Ezra Pound, Robert Frost, W. C. Williams, Adrienne Rich, etc. e pettegolezzi, apprezzamenti reciproci per il lavoro poetico, scambio di manoscritti e di piccoli doni, impressioni, incontri, etc. Lowell confessa ad Elizabeth (lettera del 15 agosto 1957) che lei ha rappresentato la grande occasione mancata, la vera alternativa perduta della sua vita: l’amore impossibile. Rimarcherà il concetto in una poesia del 1964, “Acqua”: “Una notte sognasti / che eri una sirena aggrappata ai massi d’un molo, / e cercavi di strappare / i crostacei con le mani. / Avremmo voluto che le nostre due anime / tornassero come gabbiani / alla roccia. Alla fine, / l’acqua era troppo fredda per noi”. Elizabeth Bishop affermava che “Scrivere lettere è sempre pericoloso, in ogni caso – gravido di minacce” ed aveva perfettamente ragione. Meglio tornare alla poesia…

Giulia Niccolai
Il grande angolo
Introduzione di Milli Graffi
Nota dell’autrice
Oèdipus Edizioni 2014 pp. 192, euro 14,00

La riedizione di un romanzo notevole (uscito da Feltrinelli nel 1966). Il viaggio in Egitto e successivamente negli Usa e le strane coincidenze, i traumi, i distacchi nella vita di Giulia Niccolai (uno dei più importanti poeti viventi), che nasce fotografa ma si accorge ben presto che la realtà delle cose non è come ci appare…

Franco Fortini
Tutte le poesie
A cura di Luca Lenzini
Oscar Mondadori Poesia, 2014 pp. 858, euro 22,00

L’opera poetica di un autore troppo presto (e ingiustamente) rimosso, per la prima volta raccolta in volume, da “Foglio di via” del 1946 a “Composita solvantur” del 1994. Una poesia che non smette d’interrogarsi (e coinvolgerci) sulla nostra storia “recente”: dalla Russia all’Ungheria alla Cina, da Praga al Vietnam…

Anna Maria Ortese
Roma, 13 giugno 1914 – Rapallo, 9 marzo 1998

Nessun male può dirsi lontano – Anna Maria Ortese, una scrittrice morale
a cura di Paolo Di Paolo
Saggi, testimonianze e interventi di Paolo Mauri, Goffredo Fofi, Luigi Vaccari, Giorgio Di Costanzo, Antonella Anedda, Giulio Ferroni, Luigi Fontanella, Raffaele La Capria
Empiria 2014 pp. 99, euro 15,00

“Paragone – Letteratura”
Per Anna Maria Ortese
nn. 108/109/110 agosto – dicembre 2013
pp. 182, euro 21,00

Carola Susani – Arnaldo Colasanti – Bruno Roberti – Catherine McGilvray
L’Iguana che visse due volte
Omaggio ad Anna Maria Ortese
a cura di Emanuele Trevi
Elliot Edizioni 2014 libro + dvd pp. 68, euro 22,00

AA.VV.
L’Atelier du Roman
Revue trimestrielle – Décembre 2014 – Paris
Anna Maria Ortese Place aux Sudistes
Flammarion 2014, pp. 206, Prix France: euro 17,00

Danilo Kis
Il liuto e le cicatrici
A cura di Mirjana Miocinovic
Traduzione di Dunja Badnjevic
Adelphi 2014 pp. 157, euro 13,00

Sei racconti inediti ritrovati tra le carte di Danilo Kis, dopo la morte prematura nel 1989, inizialmente destinate all’Enciclopedia dei morti. Storie tragiche e dolorose, di esilio, sradicamento e morte (il drammaturgo Horvàth in fuga dai nazisti, Ady, Andric, il suicidio a Parigi di Piotr Rawicz, sopravvissuto ad Auschwitz, etc.)…

Vasilij Grossman
La cagnetta
a cura di Mario Alessandro Curletto
Adelphi 2013, pp. 88, euro 7.00

Tre brevi, indimenticabili racconti sull’ineluttabilità della storia dell’autore (già reporter al seguito dell’Armata Rossa, l’esercito dell’Urss che liberò i prigionieri superstiti dai campi di sterminio nazisti) di “Vita e destino”, capolavoro della letteratura russa del XX secolo. Le vacanze sul Mar Nero di due funzionarie sovietiche; L’alce che il protagonista, un cacciatore, ha ucciso e fatto imbalsamare e che rivede sul letto di morte. La cagnetta (randagia e felice) catturata e lo scienziato che la sta addestrando per il primo volo spaziale. (“Era paffuta, aveva la pancia rosea, le zampe grosse, malgrado mangiasse poco in quel tempo radioso. Pareva che ingrassasse per la felicità, per la gioia di essere viva… Era una bastardina piccola, con le zampe storte. Ma sapeva eludere le forze ostili perché amava la vita ed era molto intelligente… Conosceva la forza distruttiva di camion e automobili, ne sapeva valutare esattamente la velocità… La bastardina senza nome e dall’ampia fronte sapeva che il continuo cambiamento e il vagabondaggio erano il fondamento stesso della sua sopravvivenza… La presero di notte, nel sonno. Non la uccisero, la portarono all’Istituto…”.

Elizabeth Bishop
L’arte di perdere
Introduzione, traduzione e note di Margherita Guidacci
editrice petite plaisance 2013 pp. 147, euro 15,00

La ristampa di un’antologia di 41 poesie pubblicate nel 1981 presso Rusconi.

Giulia Niccolai
Cos’è ‘poesia’
Edizioni del Verri, 2012 pp. 95, euro 8,00

“Ciò che è poesia per uno, non lo è necessariamente per un altro”, afferma Giulia Niccolai in questo piccolo, denso manuale di riflessioni, meditazioni, rievocazioni di amici e fortuite coincidenze…