Chisto è ‘o bicchiere mio,
chi beve ‘a sto bicchiere, arrassusia,
‘nschitto l’afferra freva e sfrennesia
p”a chiù bella d”e belle ‘ncurunata.
Lo spettacolo è un omaggio ai Fratelli Sanfilippo, che intorno alla metà dell’Ottocento introdussero a Ischia il metodo della solforazione, salvando così interi vigneti colpiti dalla crittogama. La vicenda è riportata da Giuseppe D’Ascia nella sua monumentale « Storia di Ischia». Il capitolo intitolato ai tre Liparoti è un vero e proprio atto di accusa nei confronti dei ricchi possidenti isolani, colpevoli di non aver pagato il dovuto ai Sanfilippo, dopo che la solforazione ebbe sortito i suoi effetti, mentre la comunità tutta aveva preferito affidare alla devozione religiosa, ai botti e alle processioni, le speranze della guarigione per le viti.
Composta per il gemellaggio tra Ischia e Leni, la performance è una « Cantata», genere celebrativo, ma soprattutto inclusivo di linguaggi diversi. L’azione drammatica si sostiene sull’intreccio di più linee espressive – la musica, l’invenzione teatrale, l’immagine, la poesia, la letteratura di viaggio e la narrazione orale. Sono strumenti che concorrono a tessere la trama di un tempo doppio, quello ciclico delle stagioni e quello lineare e oscillante, percorso sulle rotte dell’approdo e della partenza.
Voci strappate ai diari di Berkeley, di Nicolovius e dei coniugi Bret Harte dialogano con i contadini di Piano Liguori, uomini e donne di oggi, legati all’ultimo avamposto di un’isola che sa resistere al travestimento della propria identità e testimoni, attraverso il mezzo audiovisivo, di un passato che ci sembra remoto. È un gioco di specchi, nel quale lo sguardo dell’altro diventa sguardo su se stessi, disvelamento dei cliché e dei fingimenti oleografici.
La finzione teatrale si risolve in una lingua ischitana reinventata, capace di includere i versi incisi sulla coppa di Nestore, come le intuizioni poetiche di Capote, per ripercorrere il fiume di vino che spilla dalle colline, fino ad esaurirsi nell’implacabile siccità della malattia.
Legno, ferro e aria, le materie vive dell’ordito musicale, dove il suono è sublimazione alchemica della parola, geometria che si disperde nel momento stesso in cui si rivela, fiato disteso e tempo sincopato dell’affanno.
La cantata è una festa, una festa teatrale che riscopre le radici di una ritualità mai perduta nei ritmi, ora solenni, ora gioiosi, della banda. La banda delle processioni, dei matrimoni, dei funerali, di tutte quelle occasioni in cui il vissuto del singolo è il vissuto di tutti.
DI VINO, DI MARE E DI ZOLFO
Cantata in memoria dei Fratelli Sanfilippo
drammaturgia e regia
Salvatore Ronga
musiche
Antonio Monti
interpreti
Marina Ascione, Giovangiuseppe D’Ambra, Lorenza Romano, Roberto Scotto Pagliara
coro
Daniele Boccanfuso, Emanuele Barbaruolo, Davide Cipolletta, Irene Esindi, Alessia Fondicelli, Giovanni Lamanna, Stanislao Morgera, Eleonora Onorato, Livia Pacera, Bianca Pascale, Ilaria Postiglione, Vittoria Schiano Di Zenise, Alessandra Toscano, Marilena Trofa
Edizione e montaggio dei contributi audio-visivi
Claudio Iacono
con la partecipazione della Banda Musicale Eurythmia diretta dal Maestro Raffaele Ungaro