Gianluca Castagna | Checco Zalone è un autentico fenomeno. Non ce ne vogliano i clan, abituati a combattersi brandendo i beniamini come una clava, ma su un principio non si dovrebbe transigere: a ciascuno il suo. Zalone è per il box office come i sali per la vecchia zia tramortita a terra. L’idiota di successo che vince scommesse e sbanca i botteghini. Di fronte a 34 milioni di euro incassati in poco più di due settimane dal suo ultimo film Sole a catinelle, c’è poco da buttarla in ripulsa e ostilità. Abbiamo dell’altro, ovviamente. Un talento cristallino, in primis. Alta consapevolezza: Zalone conosce tutti i meccanismi più elementari della comicità, li arricchisce con allegria scapestrata, a suo modo eccentrica, e se ne serve per rafforzare un legame identitario tra sé e il pubblico. Dentro questo specchio deformante, gli spettatori si riflettono e non si fanno il fegato amaro. Anzi, si divertono. Perché Zalone racconta cosa siamo (diventati?) schivando la trappola più insidiosa, quella di posizionarsi dalla parte giusta. Detto questo, ogni suo film è la solita favoletta all’italiana un po’ ruffiana su un sogno da inseguire e realizzare. Piena di battute spassose e dei peggiori ammiccamenti. Farse (più che commedie), con storico bonus: aver sotterrato i cinepanettoni una volta per tutte.
Potrebbe essere più cattivo, ma forse non glielo permettono. O lui non vuole.
Se sarai promosso con tutti dieci, papà ti regala una vacanza da sogno. È questa la promessa che il protagonista di Sole a catinelle, prima cameriere in albergo, poi piazzista di aspirapolvere in piena crisi, fa al figlio Nicolò. Il ragazzo infila un dieci dietro l’altro proprio adesso che, passata l ’ubriacatura iniziale a colpi di finanziarie per permettersi l’impossibile, non c’è grana nemmeno per un giorno al mare. Fare il passo più lungo della gamba, vivere la di sopra delle proprie possibilità. Vi ricorda qualcuno?
Tra le crepe di un racconto già fragile di suo s’affaccia il dato socio-politico. Dal capitalismo industriale alla ferocia del capitalismo finanziario e speculativo. Dura un attimo o poco più. Le avventure picaresche di Zalone e figliolo riprendono il sopravvento. Prima in Molise, circondato da parenti jurassici o defunti, poi nel bel mondo di Zoe, giovane donna ricchissima con figlio problematico. La “cura Zalone” è il salvacondotto per il jet set. Party esclusivi, bagni in piscine deluxe, ancora yacht, cavalli, campi da golf e serate a Portofino. Il sogno è ambizioso: mantenere le promesse, riconquistare la moglie, ridare fiato al conto in banca. Secondo voi, ci riesce o no?
Lo svolgimento è così grezzo ed estemporaneo che lo spettatore può cogliere a piacimento e a piacimento bersagliare: dai tic della sinistra radical chic (il regista impegnato, la psicologa perplessa, il santone yoga) ai padroni della finanza (amministratori delegati, cinesi pigliatutto), dai tormentoni musicali da cantante-spazzatura allo slancio politicamente scorretto. Fino al cortocircuito finale sul letto di morte. I tempi cambiano: una risata non prevista dal copione, anziché seppellirci, ci salverà.