c.s. | LAB / per un laboratorio irregolare è un progetto a cura di Antonio Biasiucci, che risponde all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti e di trasmettere un metodo che eserciti a una costante azione critica sul proprio lavoro. L’esperienza nasce dall’incontro dell’artista con un gruppo di giovani fotografi: Ilaria Abbiento, Fulvio Ambrosio, Chiara Arturo, Giuliana Calomino, Cristina Cusani, Susy D’Urzo, Luigi Grassi e Claudia Mozzillo. Per circa due anni, a cadenza bisettimanale, nel suo studio napoletano Biasiucci ha seguito gratuitamente i ragazzi nel loro percorso artistico, guidandoli nella produzione di un progetto di ricerca personale.
Il progetto, che ha ricevuto il “matronato” della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, sarà presentato al MADRE – Museo d’Arte Contemporanea Donnregina il prossimo mercoledì 19 marzo alle ore 18.00 da Antonio Biasiucci, Antonello Scotti di Aporema onlus, coordinatore e co-curatore dell’iniziativa, e dal direttore del museo MADRE Andrea Viliani che ha accolto con grande entusiasmo l’idea dell’artista ospitando la prima presentazione di LAB nel Museo napoletano dedicato al contemporaneo.
«LAB è il tentativo di offrire alla città un progetto culturale che ruoti intorno alla fotografia utilizzando metodi ispirati dal “laboratorio” teatrale di Antonio Neiwiller, regista napoletano scomparso venti anni fa e che io considero mio maestro. Personalmente, è anche il desiderio di restituire quello che mi è stato dato con la consapevolezza che non ha senso se sono solo io a salvarmi e che oggi più che mai gli artisti devono offrire una disponibilità che serva a far nascere vera cultura»: così Antonio Biasiucci introduce l’iniziativa del suo “laboratorio irregolare”.
Otto progetti eterogenei, ma guidati da un unico metodo: Ilaria ha raccontato delle immagini sacre custodite nelle piccole botteghe, Fulvio di contatti umani, Chiara dei suoi viaggi verso casa, Giuliana di un mondo che nasce, Cristina di un proprio abbecedario, Susy della sua famiglia, Luigi di assenze svelate e Claudia delle donne dell’alta borghesia napoletana.
18 miglia di Chiara Arturo. Una foto per miglio per raccontare una distanza che è anche un ricordo, una sensazione più che un percorso: il mio viaggio tra l’isola e la terraferma. Paesaggi ripescati in un immaginario consolidato da anni di andate e ritorni, che sento quasi come atmosfere dell’animo. Le visioni sono alterate dalla matericità del filtro\finestrino, aggredito dalla salsedine e dall’elemento acqua in tutte le sue forme, ma anche dalla luce, che spesso irrompe con violenza. Onde, promontori, fari, scorci, grandi navi: diventano i personaggi di una sorta di romanzo di formazione fatto al novantapercento d’acqua. In questo lavoro mi sono ri-percorsa. Da sempre per me lo stare in mezzo al mare rappresenta una geografia del pensiero. Ho iniziato con un elenco di parole: dati. Ho continuato cercando e catalogando elementi. Inseguivo un’idea di paesaggio, in movimento, mai uguale. Ero alla ricerca di un’oggettività che forse non ho trovato perché non c’è: quella del mare. Mi sono ritrovata, invece, con un mondo intimo, fatto di sospensioni che duravano cinquantacinque minuti per volta. La mappatura del mio stare precario e ondeggiante.
Chiara Arturo nasce a Ischia nel 1984. A nove anni chiede in regalo la sua prima macchina fotografica: una polaroid 600 che usa tutt’ora. Durante gli anni dell’università – in parallelo con gli studi di architettura alla Federico II di Napoli – si concentra sulla fotografia come mezzo espressivo, con un particolare interesse per il paesaggio: naturale, umano, urbano, onirico. Intanto partecipa ad alcune esposizioni collettive, integra la sua formazione nel campo delle arti visive partecipando a corsi e workshop anche internazionali e inizia a lavorare come designer e fotografa free-lance. Nel 2012, terminati gli studi accademici con una tesi sperimentale in landscape urbanism sulla contaminazione ambientale in Campania e abilitatasi alla professione di architetto, entra in LAB, il Laboratorio di Antonio Biasiucci.
«Il laboratorio è stato un radicalizzare il proprio guardare lo spazio in cui ci spostiamo da sempre: noi stessi. Scavare attraverso il mirino per arrivare a uno sguardo interiorizzato, a un modello comportamentale che conduce a una visione se non vergine perlomeno personale, profonda e quindi scarna e non più superficiale.» / Chiara Arturo