Salvatore Ronga | L’inferno c’è, basta scavare. Siamo in Paradiso. A Ischia. Per la precisione nella baia di San Montano, a metà degli anni Cinquanta. Il suolo è infuocato. Si scoprono tombe che fumano, ma non è l’apocalisse. Non ci sono trombe ad annunciare la fine. Solo un lento e meticoloso strofinio di sabbia e pietruzze ad annunciare l’inizio. L’inizio di una rinascita, quella della colonia di Pithecusa. Vene d’acqua calda percorrono il sottosuolo. Il sonno dell’infante sepolto è protetto dal calore, intenso, intensissimo. La terra brucia. Frammenti di vasellame acuminati e bollenti sbucano dall’Aldilà, che poi sarebbe un Aldisotto, a voler essere pignoli.
Giosuè lava i cocci. Con acqua fredda. Il professore è a Napoli, nel suo ufficio alla Soprintendenza. L’uomo si rigira tra le mani i pezzi con delicatezza. Non si sa se il tatto preceda la vista. Corre alla cornetta. Telefona a Buchner e, tutto esaltato, gli dice – Prufessò, ‘nce sta ‘na crasta cu”a scritta ‘ncoppa.
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