Gianluca Castagna | Raccontare gli adolescenti è insidioso. Perché i ragazzi non imitano mai i loro padri o i fratelli maggiori. Hanno altri valori, altri metri di giudizio, altri linguaggi. Il rischio è criticare a priori quello che non si capisce e perdere di vista la direzione di marcia della società. Sofia Coppola di Francis Ford ha sempre maneggiato con sapienza la fragile materia dell’adolescenza. Frammenti di ribellione ed emotività disseminati in giardini di vergini suicide, camere di lussuosi alberghi a Tokyo, prigioni dorate a Versailles su misura per regine bambine. Naturalmente anche nella città degli angeli, non-luogo dove proliferano – e falliscono miseramente – tutti i rimedi possibili escogitati contro l’anonimato (e forse il mal di vivere).
Se negli ultimi due film (Maria Antonietta, Somewhere) i personaggi vivono e si muovono nei recinti del privilegio, lì dove il magico tocco della ricchezza e del potere trasformano (quasi) tutti i desideri in realtà, in THE BLING RING Mrs. Coppola sposta leggermente la prospettiva. Dalla paralisi per avere più di quanto è possibile desiderare alla smania di possedere ciò che non si può avere.
Le giovani protagoniste non abitano le stanze degli dei, non sono nemmeno delle poveracce, ma riescono a trovare il modo per penetrare il mondo delle celebrity e appoggiarsi a loro per rafforzare il proprio ego. Come? Le fatine sbronze di Hollywood e dintorni decidono di imbucarsi nelle ville deserte delle star per alleggerirle di qualche gioiello,vestiti, contanti, pistole. Linsday Lohan, Orlando Bloom, Paris Hilton. Tutti venerati e trafugati. Quando l’ordine sembra ristabilire ogni cosa con le sue repressioni, le ladre di glamour ne approfittano per vivere il loro quarto d’ora di celebrità. Da “Voglio le sue cose” a “Magari potrei diventare Presidente, perché no?”.
Il furto ai danni del proprio totem è la chiave d’accesso a una nuova identità, quella che ridefinisce i rapporti di potere e il proprio ruolo nella società.
Sofia Coppola non giudica, né critica. Soprattutto non si fa illusioni: il mondo è corrotto, gli adulti sono indifferenti (o stupidi), i ragazzi non hanno una rete che sia in grado di proteggerli quando iniziano le loro libere evoluzioni nella vita. Anche Internet, la democraticissima rete, è lo stradario per la gloria e al tempo stesso la prigione di una virtualità che li separa dal mondo reale. Le incursioni nelle ville, il guardaroba delle star che sembra il tesoro di Alì Babà (all’ennesima inquadratura di scarpe il cervello dello spettatore si chiude a riccio), le immagini della webcam come riflessi d’ una fumata di popper, perfino il processo affrontato col piglio deciso di una sfilata di moda. E’ un loop senza soluzione di continuità, l’andirivieni incessante dentro l’ovatta di un mondo irreale, un circolo vizioso senza umori vitali (sudore e sangue totalmente assenti) in un racconto che – tolta qualche sequenza – diventa presto inerte, desolato, monotono. Senza l’energia incendiaria di un Harmony Korine o la furia pompinara e omicida delle sue adorabili zoccolette viste in Spring breakers.
Meglio, molto meglio, quando Sofia Coppola ascolta in raccoglimento i dialoghi delle sue ragazze (più un ragazzo). Quando, ad esempio, raccontano ai coetanei le loro prodezze. Allora lascia perdere tutta la montagna di roba accatastata e resta ferma incantata a guardare. Guarda il vuoto assoluto, il niente perfetto. Ci si riflette e fa in modo che anche noi ci rispecchiamo lì dentro, dandoci tutto il tempo per osservare, con vivida ricchezza di particolari (anche inutili, anche scemi), il punto dove siamo (finiti).