Gianluca Castagna | “Ringrazio Carlo Cresto-Dina, che ha creduto dall’inizio a questo progetto così strano, Rai Cinema, Luca Bigazzi e Carlotta Cristiani, che hanno messo nel film il loro enorme talento e disponibilità, Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, che hanno scritto la sceneggiatura, Francesca Riso e Alessio Gallo, i due giovani protagonisti, Carmela e Federico, la mia famiglia, che mi hanno supportato e sopportato”. Con queste parole, un emozionatissimo Leonardo Di Costanzo ha commentato il suo primo, meritatissimo David di Donatello come “miglior regista esordiente” alla serata di premiazione in diretta su RaiUno venerdì 14 giugno.
Un riconoscimento prestigioso (i David sono considerati gli Oscar del cinema italiano) che arriva alla fine di una stagione cinematografica che ha rivelato al grande pubblico uno degli autori più sensibili e impegnati del nostro cinema grazie al film “L’intervallo”. Un premio che arriva dopo altri riconoscimenti importanti (la candidatura ai Globi d’oro, due Ciak d’oro assegnati dalla rivista di cinema più popolare e venduta in Italia), pur in una categoria, quella del miglior regista esordiente, decisamente paradossale per un cineasta che lavora da più di 20 anni, riconosciuto (e premiato) da tempo come uno dei documentaristi più importanti del cinema europeo.
Sono le sottigliezze e i cavilli misteriosi dell’Accademia che organizza e detta le regole ai premi David, ancora legata a distinzioni manichee, e che impedisce a un film come “L’intervallo” (opera prima di finzione, non certo opera prima in assoluto) di gareggiare insieme agli altri titoli con tutto il patrimonio di talento, esperienza e ricchezza espressiva di cui si avvale (penso, ad esempio, alla straordinaria fotografia di Luca Bigazzi). Opera che aveva già conquistato il temibile pubblico veneziano alla passata Mostra del cinema, quando fu presentato nella sezione “Orizzonti” e presto definito “il più bel film italiano del Festival”.
La pellicola racconta la lenta ma emozionante costruzione di un legame inatteso (“l’intervallo” del titolo) nella vita di due adolescenti della periferia napoletana. Una pausa salvifica, forse provvisoria, da un mondo che distrugge la loro identità e forza creativa. Salvatore, giovane venditore ambulante di granite è costretto per un giorno a far da carceriere a Veronica, una quindicenne che ha trasgredito le regole non scritte della malavita. Per una manciata di ore i due finiscono per conoscersi e fidarsi l’una dell’altro, ridendo e litigando come ci si aspetta da due ragazzi della loro età. Benché la si veda poco, Napoli incombe costantemente sulla felice reclusione dei due giovani protagonisti. Alla fine manda i suoi emissari – il boss della camorra con la sua banda – ad aprire i cancelli, a richiamarli all’ordine. Scende la notte, il film si chiude, fine dell’intervallo.
Tra sogni e speranze, inserti e divagazioni, confessioni e paure disseminate sui sentieri di un ex ospedale psichiatrico in rovina, Leonardo Di Costanzo costruisce un quadro agghiacciante e poetico sull’assurda violenza operata dalla società sull’individuo. Un film urgente, libero, tassello inedito di un immaginario narrativo di disperata vitalità come spesso quello partenopeo riesce a essere e proporsi.
E’ il cinema italiano che non ti aspetti più, un piccolo gioiello e al tempo stesso una grande avventura produttiva, a dimostrazione che anche nel nostro paese, quando si vuole, si può fare del buon cinema, degno di essere esportato, premiato e amato anche all’estero.