La Grande Bellezza, che grande fatica!

Grande bellezza 2Gianluca Castagna | L’esercizio spirituale di dilaniare l’ultimo film di Paolo Sorrentino “La grande bellezza” (esercizio a cui si è dedicata gran parte della stampa italiana e francese) ha più di una ragione. The talented Mr. Sorrentino è riuscito in qualcosa che in Italia, oggi, sembra essere pura utopia: fare i soldi con un film di valore. E quando le utopie si realizzano, il terrore del cambiamento spaventa tutti, nessuno escluso. Tuttavia va anche detto che pochi film come “La grande bellezza” riescono ad avvilire le certezze dello spettatore e metterlo a disagio. Opera da ammortizzare nel tempo, verso la quale il bisogno di rivederla ancora nasce spontaneo già fin dopo i titoli di coda. Come se il film volesse dirci ancora qualcosa che non siamo riusciti a intendere. Cosa ci è sfuggito, cosa non abbiamo colto?

La messa in scena, magistrale, inappuntabile, è una morsa autoritaria che non concede respiro. Non lascia sfogo. Non consente empatia, coinvolgimento, comprensione. Un tunnel senza prese d’aria, la cui lunghezza fluviale (veramente poco necessaria) non aiuta. La Grande Freddezza?
Film sulla vita, sul sogno, sul tempo e naturalmente sul nulla. Il sogno impossibile (e mai realizzato) di Flaubert. Roma è il parco giochi di chi vaga liberamente osservando i regali che la Storia ha concesso alla città eterna. Attenzione, però: chi tocca muore. Come il turista giap che, sul Gianicolo, stramazza al suolo. Mentre l’Urbe, che dovrebbe crollare e non crolla mai, assiste bellissima e indifferente.
Come una diva morta, con tanti convitati a celebrarne il funerale.

 

Grande bellezza1E’ qui la festa? Sulla terrazza di un appartamento con vista sul Colosseo, va in scena il party per i 65 anni di Jep Gambardella (Tony Servillo), l’autore di un unico romanzo di successo (40 anni prima!) che ha sprecato la propria vita in un’esistenza di vacuità e disincanto. Un Truman Capote de noartri capace di demolire la postura intellettuale delle sue amiche radical chic, quando fanno del presunto impegno politico l’arma snob per elevarsi al di sopra dei propri simili.
Torniamo alla festa, dove ci sono tutti. La Cocainomane, la Puttana, la Nana e le Ballerine, la voce remixata della Carrà, il Giovin Nietzschiano, il Carlo Verdone, le Bimbe Prodigio, il Mafioso del piano di sopra, il collezionista/darte/contemporanea&degradata, la Diva in pieno disfacimento psico-fisico. Marionette senza fili, mangiafuochi di se stessi, cinici persecutori dei loro cancri, crudeli perfino con i loro corpi (si veda alla voce ‘Serena Grandi’: pazzesca, quasi lynchiana, tra tanti mostri di vuoto botulinico). Insomma, un circo popolato da fantasmi – compreso Jep – che non si limitano a infestare la vita (come in Fellini), ma imitano se stessi con sguardi gravidi di noia. Tra trenini senza meta e lenzuola sporche di sesso dimenticato.
Soffrono e ridono della loro umana bruttezza. Ops, volevo dire bellezza. Quanto grande, è difficile dirlo.
Siamo a circa mezz’ora e il film/capolavoro finisce qui. Attimi di Grande Bellezza da trovare, con un certo affanno, tra le pieghe delle brutture che accompagnano l’esistenza.

A questo punto Paolo Sorrentino mette la sua meravigliosa spocchia e l’incontestabile talento (questo divino scialo di monetine gettate al vento) al servizio della sua personale recherche. Con meno Proust e più Celine.
Certo, è troppo facile individuare nel primo amore o nel vigore dei vent’anni che sapevano guardare lontano la Grande Bellezza Perduta. Il sogno, di tanto in tanto, arriva in soccorso della fantasia e dell’immaginazione, ma tutto si consuma in un attimo. Sfuggente come il mare che appare sul soffitto di una camera da letto. O transitorio, come il fascino coatto (al netto di ogni volgarità) di Sabrina Ferilli, con la sua sensualità matura e dolente, in una prova d’attrice perfino migliore del personaggio a disposizione.
Ma davvero il cinismo o il disincanto sono l’effetto collaterale della delusione d’amore?
E’ davvero questo l’unico modo per arginare la presenza della morte nella vita?

 

La_grande_bellezza-64701633In fondo a questo film senza storia resta il senso di un Grande Rimpianto, di una felicità a portata di mano eppure irraggiungibile. Ma anche la consapevolezza che tutto questo è una sciocchezza, che le parole sono bellezza senza verità, esattamente come i sogni, che possono solo premonire la fine.
Tra giraffe e prestigiatori, cardinali che parlano solo di cucina e sante centenarie più sveglie di un teen ager, il film giunge al capolinea tra ondate potenti e irritanti momenti di stagnazione. Sappiamo a chi dare la colpa per la sentenziosità della scrittura. Alla mancanza, in questo paese, di un’industria con le palle che dica al genietto napoletano : “Guarda, caro, tu sei tanto bravo ma io i soldi non te li do se i film te li vuoi scrivere da solo o con quel Contarello lì, che ti asseconda in tutto”.
Perché il trucco è sempre quello. Se la vita è dannatamente banale, al di sotto (o al di là) di tutto quello che se ne possa dire, scrivere o filmare, Sorrentino tenta ogni volta la stessa impresa: sottomettere l’affresco ai suoi appetiti esistenziali, alle sue guerre e alle sue dannazioni. Fa niente. E se è eccessivo, se alle volte non regge il carico della sua sfrenata ambizione, se il simbolo non arriva al cuore dello spettatore malgrado la magnificenza delle immagini, se a volte si innamora a sproposito e il vaso del cinema, pieno fino all’orlo, trabocca, ogni goccia che arriva a bagnarci gli occhi sarà comunque il segno di una sospirata Bellezza. Ma che fatica!

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